Sono generico, volutamente. Chi dovrà capire capirà.
Capita a volte di ritrovarsi di fronte alla realtà, faccia a faccia, e
di restare perplessi e sconcertati di alcune scelte. Capita e non ci si può
lamentare, sono scelte della Chiesa e vanno rispettate. Certo è che per una comunità intera, un prete o - meglio - un missionario può rappresentare tanto e in alcuni casi ci si innamora: gli
uomini, le donne e i bambini diventano
individui ricchi d’amore. E’ l’effetto di un Don al fianco di una comunità che si sente così vicina a lui da rivoltarsi quando apprende la notizia
del trasferimento, pur comprendendo che alcuni dispiaceri e alcune sofferenze
fanno parte di questa vita e vanno abbracciate e anch’esse vissute.
Però, quanto conta la volontà di un popolo? E quanto conta la comunicazione
con la Chiesa che tante persone, grazie al Don,
hanno ritrovato? E a chi importa mantenere vive queste riflessioni e questi bei
rapporti? Il popolo non può non contare nulla, e quando si esprime in maniera
assai coinvolgente si deve ascoltare. Oltretutto: chi è la Chiesa? Siamo noi.
Don è una persona speciale e,
si sa, bisogna obbedire ed essere etici, ma bisogna anche considerare il
beneficio che una intera comunità, anche allargata, sta ricevendo. La Chiesa
non è Don ma siamo noi, l’ho detto
prima, quindi si vive lo stesso, figuriamoci. Il punto sul quale riflettere
però è anche un altro: recentemente il giornalista Michael Dougherty ha
sostenuto che la Chiesa cresce in due modi, Il primo è biologico, attraverso
cioè l’aumento del numero di famiglie che va in Chiesa. Ma la Chiesa cresce
anche in un secondo modo: quando attira e non discute, non polemizza.
Vincenzo Nisio
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